Un’antimafia che vive di post virali, di frasi ad effetto, di selfie davanti ai murales di chi ha pagato con la vita la lotta alla criminalità organizzata. È un’antimafia che non studia, non legge, non verifica: reagisce. E lo fa al ritmo dei like e delle condivisioni.
In realtà, non si può nemmeno definire antimafia. Spesso alcuni giornalisti si chiedono come definire certi fenomeni e non sempre si ha la risposta corretta. Noi ci siamo chiesti se fosse comunque utile che chiunque parlasse di mafia o di antimafia. Con il massimo rispetto per l’indirizzo che, a riguardo, molti anni fa diede il giudice Paolo Borsellino: “Parlate della mafia. Parlatene alla radio, in televisione, sui giornali. Però parlatene.”
Ma riteniamo che non sia così. Noi de pensiamo che non ci si possa improvvisare comunicatori o, peggio, leader dell’antimafia. Vogliamo ancora credere che una guida affidabile, tra organi di stampa, politici, cittadini impegnati e conoscitori di determinati argomenti, possa esistere. Crediamo che questa guida esista, ed a loro daremo voce.
Vogliamo credere che prima o poi tanti familiari di vittime di mafia troveranno il modo di superare le fragilità umane e si uniranno in una lotta comune, che smetteranno di contrastarsi e investiranno risorse preziose, come già fanno, nella lotta congiunta alla mafia, riuscendo a superare le contraddizioni che possono nascere quando alcuni si trovano in un campo inesplorato, non voluto, inaspettato ed estremamente doloroso. A tutti loro va il nostro supporto e solidarietà.
Sui social, chiunque può improvvisarsi esperto di mafia: basta una citazione del giudice Falcone, un video indignato, qualche hashtag. Ma la lotta alla mafia non si misura in follower. Non basta gridare “legalità” per esserci dentro. Serve conoscenza storica, consapevolezza del fenomeno, comprensione dei suoi mutamenti e della sua capacità di mimetizzarsi.
Eppure, molte persone oggi non seguono la stampa ufficiale, non leggono gli approfondimenti o le inchieste, non ascoltano le voci di chi ha studiato e indagato per decenni. Preferiscono i social, dove la complessità è un difetto e l’approfondimento un lusso.
Ma anche pochi secondi d’impegno valgono pur qualcosa per ciascuno? Oppure siamo al punto limite ed il nostro tempo non ha più valore nemmeno per noi stessi, che pur di sfuggire allo stress accettiamo il decadimento? Possiamo davvero permetterci di vivere il nostro tempo così?
Troppo, e sempre più spesso, sentiamo e leggiamo commenti di persone che hanno un seguito sui social, tale da essere degno di attenzione. Diverse decine di migliaia di persone li seguono. Si chiamano influencer. Tra loro c’è chi commenta di tutto, inclusi gli aspetti legati alla criminalità organizzata.
Un esempio per tutti: “la vecchia mafia non uccideva donne e bambini…”
Teniamo a informare tutti i lettori che ancora non conoscono i dati ufficiali: almeno 125 bambini sono stati uccisi dalla mafia, dalle sue origini a oggi. 109 (dato al 2020) il numero di quelli già riconosciuti dallo Stato. Molti di più sono i bambini vittime indirette della mafia, basta pensare agli orfani di vittime di mafia per spiegare un numero così elevato. E per quanto riguarda le donne, la mafia non si è certo risparmiata nello spargerne il sangue sulle strade.
La memoria si semplifica, la verità si distorce e l’antimafia diventa spettacolo. Un format da consumare più che un impegno da vivere.
Si moltiplicano le disquisizioni popolari sulla mafia, fatte da chi la mafia non l’ha mai conosciuta davvero, né sul campo né nei libri. L’antimafia vera non è una moda. È fatta di lavoro silenzioso, studio, sacrificio, rischi personali. Chi riduce questa battaglia a un contenuto acchiappa clic non la serve, la tradisce.
Un altro esempio recente e drammatico di cattiva informazione, così lo consideriamo noi, è certamente un nuovo podcast siciliano. Un programma che può essere seguito sui principali canali social… Un programma realizzato in uno studio professionale, con strumenti professionali che tratta argomenti di cronaca di ogni tipo, spesso delicatissimi e impegnativi nella gestione, anche per un giornalista qualificato.
Insomma, a parer nostro, un’attività giornalistica svolta da persone che non lo sono, come giustamente tengono a ricordare sempre gli stessi conduttori.
È di queste ultime ore la messa in onda di una puntata che ha come ospite uno dei figli di un noto e defunto mafioso. Una scelta che ha comprensibilmente scatenato commenti e opposizioni di ogni tipo e da ogni parte. E pochi giorni prima un altro argomento di complessa trattazione che riguardava uno stupro di massa ai danni di una giovane palermitana, che al tempo dei fatti ha sollecitato l’intera opinione pubblica italiana.
Situazioni che richiedono una tutela ed attenzione ben oltre la buona educazione. Parliamo di una tutela, sia verso le vittime che verso il pubblico, che nasce dall’etica e dalla deontologia di chi esercita la professione di giornalista.
Riteniamo che la gravità di quanto stia accadendo, ormai sempre più spesso ed in forme sempre più gravi, tale da aver attivato gli organi preposti al controllo ad un intervento immediato e risolutivo, raffiguri un quadro preoccupante in seno alle garanzie per il cittadino ad una corretta informazione. Fiduciosi, attendiamo gli eventuali esiti giudiziari e le azioni atte a moderare una libertà di espressione che sembra sempre più aver poco in comune con la crescita dell’individuo.
Se vogliamo che la parola “antimafia” conservi il suo peso, dobbiamo sottrarla all’intrattenimento e restituirla alla realtà. Un like non è impegno così come una condivisione non è coraggio.
Noi ci impegniamo a sostenere chi questa battaglia ha scelto di combatterla con strumenti adeguati: cultura, conoscenza dei fatti, titolo, capacità e modi.
Non sosterremo, anzi, contrasteremo con decisione tutti coloro che proveranno a cercare luce a danno di chi ha lavorato e pagato con il prezzo più alto: la vita.
Non accetteremo di restare impassibili davanti a chi ingenera confusione sol perché ha accesso a strumenti di “diffusione di massa”.
A rischio di risultare, per alcuni, un giornale “pesante”, cerchiamo di non perdere una sola data per commemorare i tanti caduti per mano mafiosa, e non solo. Molti sono i fatti che ancora richiedono approfondimento e reclamano verità.
Crediamo nel giornalismo, in quell’informazione che è funzionale alla crescita della società, che è sancita nella nostra Costituzione e, per questa scelta, preferiamo rinunciare a qualche like, a fronte di un’informazione giornalistica che è strumento sociale.
Mauro Faso







































