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Mer, 12 Nov 2025
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Autotutela tributaria: cosa cambia dopo la riforma

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La riforma introduce l’autotutela obbligatoria, ampliando i casi in cui l’Amministrazione finanziaria deve correggere i propri atti. Ma restano nodi interpretativi e rischi di nuovo contenzioso.

Si, anche la Pubblica Amministrazione può sbagliare e, quando commette un errore, è tenuta a correggerlo. Ciò per evitare di commettere ingiustizie nei confronti dei cittadini, quando l’errore è a loro danno, oppure per evitare altri problemi, se non addirittura danni erariali, quando l’errore è a danno di sé stessa. L’atto amministrativo con il quale si corregge un errore commesso dalla Pubblica Amministrazione rientra nel concetto di “autotutela”.

Si tratta, come è noto, di un principio di diritto amministrativo in base al quale, quando la Pubblica Amministrazione commette un errore ponendo in essere un atto amministrativo illegittimo, può annullarlo o modificarlo, al fine di evitare che l’errore commesso possa determinare danni erariali e non solo. Tale principio riguarda l’intera Pubblica Amministrazione.

Se un Comune, per esempio, si rifiuta di rilasciare una licenza urbanistica perché, sbagliando, crede che manchino le condizioni, può (anzi deve) provvedere a modificare il suo precedente provvedimento illegittimo. Allo stesso modo, se lo ha rilasciato pur mancandone le condizioni, deve provvedere a rettificare il suo operato ripristinando la legalità.

Le stesse regole valgono anche in ambito tributario. Per la verità, se un ufficio sbaglia accertando un’imposta in misura inferiore a quella effettivamente dovuta, può (anzi deve) provvedere al recupero della differenza, seguendo però le norme che esistono in materia fiscale, principalmente rispettando i termini di decadenza. Al contrario, se l’ufficio ha notificato un atto di accertamento, per esempio sbagliando i conteggi e pervenendo ad una imposta dovuta dal cittadino in misura superiore a quella corretta (che, per Costituzione, deve essere conforme al principio di capacità contributiva), deve provvedere a ripristinare, anche in questo caso, la legalità.

Ricordiamo che l’applicazione dell’autotutela in materia tributaria ha trovato ampia conferma nel Decreto Ministeriale n.37 dell’11 febbraio 1997, con il quale, oltre alla individuazione dei casi in cui la stessa poteva essere ritenuta legittima, si affermò pure che l’unico motivo ostativo all’autotutela era l’esistenza di una sentenza di merito favorevole all’Amministrazione Finanziaria, passata in giudicato.

Anche la Corte di Cassazione ha confermato l’opportunità (se non l’obbligo) di ricorrere all’istituto dell’autotutela, affermando, con sentenza n. 2575 del 29 marzo 1990, che «in uno Stato moderno, il vero interesse del Fisco non è affatto quello di costringere il contribuente a soddisfare pretese sostanzialmente ingiuste profittando di situazioni contingenti favorevoli al Fisco sul piano amministrativo o processuale, bensì quello di curare che il prelevo fiscale sia sempre in armonia con l’effettiva capacità contributiva del soggetto passivo, sì da non compromettere per il futuro la fonte del gettito e, al tempo stesso, da stimolare il contribuente alla lealtà fiscale».

Purtroppo, però, gli uffici fiscali – spesso – hanno considerato la correzione del loro operato come un mero atto discrezionale, non solo perché, in base al precedente orientamento, era sempre necessario accertare l’interesse pubblico al suddetto intervento (come se il ripristinare una corretta imposizione non fosse già un preciso interesse pubblico), ma anche perché tale attività veniva considerata quasi “contro natura” rispetto all’attività istituzionale e preminente di recupero di risorse per l’Erario.

C’è da dire, peraltro, che allora il diniego alla richiesta di annullamento in autotutela non era un atto impugnabile, perché non indicato espressamente tra gli atti contro i quali è possibile fare ricorso a norma dell’articolo 19 del Decreto Legislativo n. 546 del 31 dicembre 1992.

Con la legge delega n. 111 del 9 agosto 2023 è stato dato il via alla riforma tributaria. E con il Decreto Legislativo n. 219 del 30 dicembre 2023, sono stati inseriti, nel testo originario della legge 212 del 27 luglio 2000 (lo Statuto dei Diritti del Contribuente), gli articoli 10 quater (Esercizio del potere di autotutela obbligatoria) e 10 quinquies (Esercizio del potere di autotutela facoltativa).

In base al nuovo articolo 10 quater: «L’amministrazione finanziaria procede in tutto o in parte all’annullamento di atti di imposizione ovvero alla rinuncia all’imposizione, senza necessità di istanza di parte, anche in pendenza di giudizio o in caso di atti definitivi, nei seguenti casi di manifesta illegittimità dell’atto o dell’imposizione: a) errore di persona; b) errore di calcolo; c) errore sull’individuazione del tributo; d) errore materiale del contribuente, facilmente riconoscibile dall’amministrazione finanziaria; e) errore sul presupposto d’imposta; f) mancata considerazione di pagamenti di imposta regolarmente eseguiti; g) mancanza di documentazione successivamente sanata, non oltre i termini ove previsti a pena di decadenza. 2. L’obbligo di cui al comma 1 non sussiste in caso di sentenza passata in giudicato favorevole all’amministrazione finanziaria, nonché decorso un anno dalla definitività dell’atto viziato per mancata impugnazione».

In base al nuovo art. 10-quinquies: «Fuori dei casi di cui all’articolo 10-quater, l’amministrazione finanziaria può comunque procedere all’annullamento, in tutto o in parte, di atti di imposizione, ovvero alla rinuncia all’imposizione, senza necessità di istanza di parte, anche in pendenza di giudizio o in caso di atti definitivi, in presenza di una illegittimità o dell’infondatezza dell’atto o dell’imposizione».

E non solo. Con il Decreto Legislativo n. 220 del 30 dicembre 2023 (Decreto sul contenzioso tributario), è stata pure modificata la norma sulla impugnabilità del diniego, inserendo, tra gli atti impugnabili di cui al citato articolo 19 del D.Lgs./vo 546/92, il  rifiuto, sia  espresso che tacito, sull’istanza di autotutela “obbligatoria” di cui all’articolo 10-quater della legge 27 luglio 2000, n. 212” (lettera g-bis dell’art. 19),  ed il rifiuto, in questo caso solo quello “espresso” (non la semplice inerzia), sull’istanza di autotutela “facoltativa” di cui all’articolo 10-quinquies della legge 27 luglio 2000, n. 212” (lettera g-ter ).

Quindi, riepilogando.

  • Autotutela obbligatoria, anche senza istanza di parte ed anche in pendenza di giudizio, in determinati casi in cui l’errore appare in maniera evidente. In genere sono gli stessi casi che giustificavano l’autotutela (ma senza renderla obbligatoria) indicati nel sopra cennato Decreto ministeriale n. 37/1997.
  • Autotutela facoltativa, anche senza istanza di parte, nei casi diversi da quelli precedentemente già citati, ma solo in presenza di illegittimità o infondatezza dell’atto o dell’imposizione.
  • Divieto assoluto dell’intervento dell’ufficio in autotutela quando esiste già una sentenza passata in giudicato favorevole all’Amministrazione finanziaria.
  • Ulteriore divieto dell’intervento in autotutela quando, pur trattandosi di ipotesi di “autotutela obbligatoria”, al momento della presentazione dell’istanza sia decorso un anno dalla definitività dell’atto contestato (a causa della sua mancata impugnazione, a meno che non si tratti di specifiche e tassativamente determinate situazioni come l’errore di persona, l’errore di calcolo e l’errore sull’individuazione del tributo). Trascorso detto termine, l’istanza di autotutela obbligatoria viene trattata come autotutela facoltativa, senza alcun obbligo dell’ufficio di rispondere alla richiesta del contribuente
  • Possibilità di ricorrere in Corte di Giustizia Tributaria, nelle ipotesi di autotutela “obbligatoria”, nei casi di rifiuto di intervento da parte dell’Ufficio (sia espresso che tacito).
  • Possibilità del ricorso in Corte di Giustizia tributaria, nelle ipotesi di autotutela “facoltativa”, ma in questo caso esclusivamente quando il rifiuto dell’ufficio è stato formalizzato (rifiuto espresso).

L’Agenzia delle Entrate, con Circolare 21 del 7 novembre 2024, ha fornito chiarimenti sul nuovo istituto dell’autotutela, affermando, tra l’altro, che le ipotesi che legittimano l’autotutela obbligatoria «devono ritenersi tassative e, quindi, di stretta interpretazione». In pratica, anche dopo il decreto legislativo che, in base alla riforma tributaria, avrebbe dovuto semplificare la normativa di cui parliamo, restiamo ancora con delle disposizioni che necessitano di interpretazione.

Non sarà sempre facile, infatti, stabilire quando si è veramente in presenza di ipotesi che impongono l’intervento in autotutela “obbligatoriamente”. È probabile, quindi, che qualche volta si dovrà discutere se l’interpretazione dell’Amministrazione Finanziaria, probabilmente più portata a considerare l’autotutela non obbligatoria ma “facoltativa” (concetto spesso opinabile), magari omettendo un atto di rigetto formale e, conseguentemente, impedendo il ricorso del contribuente contro il suo silenzio, sia veramente corretta, con la conseguenza di altro contenzioso, vanificando, magari solo parzialmente, la volontà del Legislatore di semplificare la normativa ed evitare controversie.

Salvatore Forastieri

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