Josè Luis Ledesma, nasce in Argentina precisamente a Buenos Aires 70 anni fa. E’ un gigante buono di oltre un metro e ottanta con la passione per la fotografia che diventa prestissimo una professione che lo porterà, armato della sua Nikon D3, penna e taccuino, in lungo e in largo nel mondo.
E’ uno dei testimoni diretti della ferocia della dittatura di Videla, a causa della quale ha lasciato la sua patria dopo essere scampato a quello che considera un attentato terroristico, uno dei tanti dell’epoca. Con i suoi scatti riesce a testimoniare gli orrori compiuti dalla giunta, il dramma dei desaparecidos, i cadaveri di giovani lasciati dai plotoni di esecuzione. In poco tempo diventa tra i foto-giornalisti professionisti più famosi d’Italia, se non d’Europa. I suoi scatti fotografici e soprattutto la “sua penna” esprimono la sensibilità indispensabile e necessaria per trasmettere realtà che possono essere rese visibili solo da chi, dietro l’obiettivo, ama la vita e la verità, valorizzandole e rispettandole, riuscendo a eccellere sia professionalmente che come essere umano.
Trasferitosi a Milano nel 1982, dopo aver avuto sentore che presto sarebbe finito anche lui nel mirino dei militari (diversi colleghi morirono in quel periodo) riesce a trovare occupazione nell’Agenzia Olympia dove rimane per dodici anni lavorando per una galassia di realtà giornalistiche ed editoriali. Successivamente si stabilisce a Palermo dove oggi vive con sua moglie. Adesso i suoi scatti, mostrati in gallerie internazionali, hanno immortalato alcuni dei momenti storici dell’Argentina, del nostro Paese e non solo. Basti pensare che giunto qui a Palermo deve fare i conti con tutti gli omicidi di Mafia che avvengono in quegli anni.
Josè ha potuto seguire Diego Armando Maradona nelle sue imprese calcistiche per lavoro, dagli albori in Argentina, passando per la parentesi al Barcellona fino alla consacrazione al Napoli. La sua ultima opera, “The Joy Of Life” (ed. 89books), è un libro fotografico con tutti i suoi scatti al “Diez”, inclusi i momenti più intimi del calciatore più forte al mondo. Un libro da sfogliare, risfogliare e conservare con gelosia.
“Io non sono un rifugiato politico – ci racconta Josè Luis Ledesma – nel ‘82 mi offrirono la possibilità di esserlo, ma in Argentina non ho mai fatto politica, lavoravo per un quotidiano, uno dei più venduti all’epoca, il quotidiano Crónica, editoriale Sarmiento. Io, all’interno di quel quotidiano, ho vissuto con persone che lavoravano per i servizi di intelligence ed i miei stessi colleghi lavoravano per loro, così ad un certo punto ho deciso di isolarmi e vivo in Italia dal ‘82. Sono tornato ogni anno in Argentina, non ho mai avuto problemi”.
Ledesma ci racconta che molte fotografie documentarie che ha scattato nel corso del tempo sono scomparse. “Perché ripeto, – dichiara Ledesma – nel periodo in cui lavoravo al mio quotidiano, in cui lavoravano persone dell’intelligence, quei negativi sono scomparsi. Quando ho lasciato l’Argentina nel 1982, ho potuto recuperare tutti i negativi che avevo scattato. Dopo più di 40 anni, sto organizzando una mostra fotografica con un libro che penso uscirà l’anno prossimo, sui diritti umani e su tutto ciò che mi è rimasto dentro, che mi ha colpito. Mi ha colpito e mi sono ammalato, ho diverse patologie ed ho avuto tre infarti. Può darsi che la mia professione mi stia chiedendo ora il conto, dopo tanti anni; la sofferenza di avere visto e non poterlo segnalare, perché in quel tempo non ci si poteva fidare di nessuno. Quindi, quello che mi è rimasto dentro mi sta uccidendo con il tempo. Sicuramente me ne andrò, ma prima di andarmene vorrei fare una pubblicazione e raccontare tutto quello che ho vissuto, perché quello che ho vissuto io lo avranno vissuto molte altre persone e non hanno la possibilità di raccontarlo”.
Tra le varie esperienze vissute ha documentato la guerre nelle Folkland, la guerre in Kosovo ed in tanti altri teatri di guerra. “Sono sempre stato un pacifista – dichiara Josè Luis Ledesma – e credo che il modo migliore per fermare queste guerre, assolutamente, sia quello di arrivare ad un dialogo e basta. Lo stesso successe in Argentina nel ‘82 quando volevano recuperare le Isole Malvinas. Agli inglesi non riuscì a tirare fuori niente con la forza, io ero in disaccordo fin dall’inizio, ho vissuto tutto quel periodo. Sono andato fino al Sud della Patagonia. Ma non si può dichiarare una guerra in questo modo, a questo serve la diplomazia, per questo ci sono mille modi per raggiungere un accordo, una parità. Speriamo che il mondo cambi, altrimenti ci estingueremo”.
Fabio Gigante








































