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Mer, 12 Nov 2025
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Estorsioni in Sicilia: aumentano le denunce, ma il pizzo resta la norma

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Sono aumentate le denunce, ma contemporaneamente il fenomeno del racket si è “normalizzato” tra la popolazione. Molti non denunciano perché hanno paura, altri perché sono conniventi con l’organizzazione mafiosa. Di fatto, è soltanto con la denuncia che è possibile riprendere in mano le redini della propria vita. Ce lo racconta Giuseppe Piraino

I reati estorsivi e di usura sono fenomeni di spiccato allarme sociale particolarmente insidiosi, caratterizzati da un clima di violenza e intimidazione che, rimanendo nell’ombra, alimentati da silenzio e paura, intaccano la libertà di autodeterminazione delle vittime, contaminando il tessuto economico del Paese a danno dell’intera collettività”. Così comincia l’ultima relazione annuale del Ministero dell’Interno relativamente all’attività antiracket ed antiusura per il 2024. Ciò che viene certificato nei documenti è comunque visibile tra coloro che in Sicilia vivono e lavorano. Se da un lato, però, è cresciuta la consapevolezza, dall’altro non corrisponde altrettanta decisione nel combattere il fenomeno da parte della società civile.

Le minacce all’imprenditore Giuseppe Piraino e ad Ismaele La Vardera

Proprio nei giorni scorsi, è balzata agli onori della cronaca la notizia delle minacce di morte rivolte al deputato regionale Ismaele La Vardera e all’imprenditore Giuseppe Piraino per la loro attività antiracket e di contrasto alla mafia portata avanti sul territorio. “Sicuramente queste minacce nascono dal fatto che Ismaele sta toccando dei tasti delicati relativamente alla società Italo-Belga, che ci risulta essere molto vicina alla famiglia Genova, i cui membri sono boss, latitanti, persone al 41 bis. Su circa 80 dipendenti della società circa 30 fanno riferimento alla famiglia Genova, fatto che ha destato in noi dei sospetti” ha dichiarato Piraino, che denuncia la mafia in seguito ad una vicenda che lo ha coinvolto personalmente. “Tutto è nato – continua Piraino – perché sono venuti nei cantieri in cui lavoravo e mi hanno minacciato. Allora io ho installato delle telecamere nascoste e li ho ripresi. Successivamente ho consegnato tutto ai carabinieri”. Con le sue denunce l’imprenditore palermitano ha fatto arrestare 56 persone nella zona del Capo nel 2018, 12 persone a Borgo Vecchio e poi altre persone a Brancaccio nel 2021.

“Adesso proseguo questa mia attività antiracket per aiutare gli altri, in maniera volontaria e apartitica, anche solo per dare qualche dritta su come fare una denuncia o magari mi chiamano e si sfogano – racconta ancora Giuseppe Piraino – Però, devo essere onesto, ho ottenuto un successo misero. Il 99% delle persone che mi contattano non si rivolgono né alle associazioni antiracket tantomeno alle forze dell’ordine. La verità è che circa il 90% delle attività commerciali palermitane pagano il pizzo e sono sotto estorsione, ma nessuno denuncia perché tutti hanno paura”.

Ai giorni d’oggi la situazione è migliorata in termini di sicurezza, perché chi denuncia non viene più ucciso, ma è peggiorata perché il racket è diventato una usanza dilagante e la gente per 200-300 euro al mese preferisce pagare e non andare a denunciare – conclude Piraino -. Anche perché l’antimafia ha fatto degli errori enormi in questi ultimi decenni, vedi il caso Saguto oppure le associazioni antimafia, a parte quelle che lavorano bene, ma molte hanno marciato sulla questione per ricavare denaro o consensi politici, per cui la gente si è demotivata”.

La fotografia attuale di Addiopizzo

Lo stato attuale vede una forte presenza dell’organizzazione mafiosa che, nonostante il ventennale lavoro di forze dell’ordine e magistratura con operazioni efficaci, continua ad esercitare pratiche estorsive di varia natura chiarisce Pico Di Trapani, membro dell’associazione antiracket Addiopizzo, allineandosi agli impietosi dati venuti fuori anche dal report annuale del Ministero dell’Interno. “Per fortuna con il tempo è mutato il contesto culturale, anche grazie alla presenza dello Stato e al lavoro delle associazioni antiracket operanti sul territorio che generano, stimolano e alimentano le denunce, accompagnando gli imprenditori in questa operazione. Così si è generata a livello culturale una rivoluzione dell’atteggiamento e la consapevolezza che la denuncia è un’alternativa possibile”.

Eppure, dopo un’esplosione delle denunce contro il racket dei primi anni in cui è nata Addiopizzo si è arrivati ad un punto di stallo. Oltre, c’è lo zoccolo duro di quartieri e settori economici tradizionalmente legati alla ideologia mafiosa, le cui aziende e imprenditori non sono solamente vittime, ma sono conniventi. “Noi all’inizio ci siamo concentrati, come era doveroso fare, sul supporto alle vittime di racket, attività che abbiamo portato efficacemente avanti – prosegue Di Trapani – Ad un certo punto, però, abbiamo scoperto e registrato che il contesto siciliano è così complesso perché ci sono degli imprenditori,  parliamo quindi di un’economia inquinata ed un piano culturale su cui intervenire, per i quali la mafia non è subita, ma è cercata ed alimentata. Ciò perché l’organizzazione mafiosa, attraverso la sua forza intimidatrice, riesce a risolvere controversie con i lavoratori, con i fornitori e sbaraglia la concorrenza. Noi però auspichiamo un tessuto socio-economico che si liberi da questo cappio, infatti, in questo modo la mafia altera le regole del mercato e mette in difficoltà chi invece vuole stare sul mercato in maniera etica”.

La diversificazione del fenomeno estorsivo ha reso anche più difficile individuare il reato, rispetto ad un classico passaggio di denaro, infatti “oggigiorno sono varie le tipologie di richieste di racket, non solo il pagamento di una somma di denaro in contanti, ma anche tramite l’imposizione di fornitori, cioè aziende vicine ai mafiosi o riconducibili direttamente a loro. Ovviamente viene imposto anche il personale che viene scelto secondo equilibri decisi dal mafioso del quartiere. L’unica soluzione a tutto ciò è la denuncia, dico sempre che la liberazione dal giogo della mafia avverrà solo quando ognuno farà la propria parte” conclude Di Trapani.

 

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