“Noi fummo i Gattopardi, i Leoni; chi ci sostituirà saranno gli sciacalletti, le iene; e tutti quanti gattopardi, sciacalli e pecore, continueremo a crederci il sale della terra.”
Giuseppe Tomasi di Lampedusa aveva previsto tutto, anche i tornelli di Mondello.
Perché quella che è scoppiata nell’estate del 2025 attorno alla celebre spiaggia palermitana non è solo la cronaca di una battaglia parlamentare vinta da un deputato “populista”, ma il ritratto perfetto di una Sicilia che si lamenta del sonno in cui vive, ma che quando qualcuno tenta di risvegliarla protesta per essere stata disturbata.
Il rumore necessario in una terra di sussurri
L’azione del deputato regionale Ismaele La Vardera può apparire volgare, certamente ha fatto molto “scruscio” – come diciamo noi palermitani quando qualcuno alza troppo la voce.
Ma in una terra dove il potere sussurra da oltre un secolo, forse serviva proprio il clamore delle telecamere per svegliare una città che si era abituata a credere normale l’impossibile: che una sola società controllasse da 115 anni la spiaggia più bella della Sicilia.
Perché è questo il punto che sfugge a chi critica il metodo di La Vardera: non stiamo parlando di forma, ma di sostanza. Non di politica, ma di quella che Sciascia chiamava “la lunga notte della Repubblica”. Solo che a Mondello la notte dura dal 1909.
I numeri parlano una lingua che non ammette retorica: 42.000 euro di canone annuo a fronte di 7 milioni di fatturato.
Un rapporto di uno a centosessantasette che farebbe impallidire i peggiori contratti coloniali.
Ma il vero scandalo non sono i numeri, è l’assuefazione. È quella forma di sonnambulismo collettivo che ci ha fatto accettare come naturale ciò che naturale non è mai stato.
La sindrome del gattopardo balneare
C’è qualcosa di profondamente siciliano nella reazione di molti palermitani all’iniziativa di La Vardera.
“Si stava meglio quando si stava peggio”, hanno mormorato in tanti, con quella filosofia rassegnata che attraversa i secoli della nostra storia.
Quando La Vardera ha denunciato l’abusività dei tornelli, una parte della città si è scoperta gelosa dei propri privilegi.
Gli abbonati storici hanno temuto di perdere quella corsia preferenziale che li distingueva dal volgo costretto a cercare varchi nascosti per raggiungere il mare.
Come se il monopolio fosse diventato, nel tempo, parte dell’identità palermitana. Come se Mondello non appartenesse ai palermitani, ma i palermitani appartenessero a Mondello.
È la stessa dinamica che Tomasi di Lampedusa descriveva nel suo capolavoro: “Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi.”
Solo che a Mondello la formula si è invertita: se vogliamo che tutto cambi, dobbiamo far finta che tutto rimanga come è.
L’argomento della gratitudine perpetua
I difensori dell’Italo Belga hanno costruito una narrazione affascinante: i palermitani dovrebbero essere eternamente grati a chi trasformò la palude malarica in una delle spiagge più belle d’Europa.
È un argomento che suona nobile, persino romantico. Ma che nasconde un sofisma pericoloso: trasformare un merito storico in un diritto dinastico.
Come se la bonifica di inizio Novecento conferisse una sorta di ius primae noctis economico, un diritto di precedenza che attraversa i secoli e si tramanda di generazione in generazione.
È la logica feudale applicata al capitalismo moderno: chi ha fatto il primo investimento diventa signore del territorio per sempre.
Ma la storia non funziona così, o almeno non dovrebbe funzionare così in una democrazia matura.
Riconoscere il merito storico dell’Italo Belga nella creazione di Mondello è giusto e doveroso.
Trasformare questo riconoscimento in un monopolio perpetuo è un altro discorso. È confondere la memoria con il privilegio, il passato con il presente.
I numeri dell’anomalia
Per comprendere l’entità dell’anomalia basta un confronto: la Toscana incassa 16 milioni di euro dalle concessioni balneari, più del doppio dell’intera Sicilia, pur avendo un terzo della costa.
Significa che ogni chilometro di spiaggia siciliana rende allo Stato meno di un terzo rispetto a quella toscana.
E Mondello, da sola, fattura quanto l’intera Regione incassa per 920 chilometri di demanio marittimo.
Questi numeri raccontano una storia precisa: quella di un sistema che ha privatizzato i profitti e socializzato le perdite.
L’Italo Belga ha trasformato in oro la sabbia che lo Stato le ha concesso quasi gratis, mentre le casse pubbliche si sono accontentate delle briciole.
Il sonno dei giusti e il risveglio dei populisti
La vera lezione di questa vicenda non riguarda i tornelli, ma il sonno. Quel sonno profondo, quasi catalettico, che avvolge la Sicilia quando si tratta dei suoi beni più preziosi.
Per oltre un secolo nessuno si era accorto che la spiaggia più famosa dell’isola era diventata un feudo privato. O meglio, tutti se ne erano accorti, ma tutti avevano fatto finta di niente.
Per questo l’azione di La Vardera, al di là del giudizio sul personaggio, ha il sapore di una sveglia. Rumorosa, fastidiosa, ma necessaria.
Perché in una terra dove il potere sussurra accordi nei salotti buoni, a volte serve chi grida nelle piazze.
L’Europa che bussa alla porta
Nel frattempo, l’Europa continua a bussare alla porta dell’Italia con la sua Direttiva Bolkestein, chiedendo di applicare le regole della concorrenza anche alle spiagge.
Ma l’Italia fa orecchie da mercante, prorogando le concessioni fino al 2033 e inventando sempre nuove scuse per non aprire le gare.
È la stessa Europa che ci ha regalato la moneta unica e ci chiede in cambio di comportarci da europei.
Ma noi preferiamo essere italiani quando conviene e siciliani quando serve. Preferiamo i fondi europei alle regole europee, i diritti agli doveri.
La Sicilia, in questo, è l’Italia in miniatura.
L’isola che chiede autonomia speciale e poi si lamenta dei controlli speciali.
Che vuole la libertà di decidere ma non la responsabilità delle conseguenze.
La vittoria del rumore
Alla fine, La Vardera ha vinto.
I tornelli sono stati rimossi, la Regione ha emanato nuove direttive, l’intera Sicilia ha dovuto fare i conti con le proprie contraddizioni.
È stata una vittoria del rumore sul silenzio, del clamore sulla complicità.
Ma è stata soprattutto la vittoria di un principio semplice: che i beni pubblici appartengono al pubblico, non a chi li gestisce.
Che la storia può spiegare il presente, ma non può giustificare i privilegi.
Che cent’anni di monopolio non creano un diritto, ma un’anomalia da correggere.
Il risveglio che non arriva mai
Eppure, passata l’estate e spenti i riflettori, tutto sembra tornare come prima.
I tornelli sono spariti, ma il monopolio resta.
Le staccionate sono cadute, ma la concessione dura fino al 2033.
È cambiato tutto perché nulla cambiasse, direbbero ancora i Salina.
Perché questa è la vera maledizione della Sicilia: non l’incapacità di cambiare, ma l’arte di simulare il cambiamento.
Non l’immobilismo, ma il movimento perpetuo intorno allo stesso punto.
Come quei satelliti che girano eternamente attorno al pianeta senza mai toccarlo.
L’eterno presente siciliano
E così Mondello continua a dormire il suo sonno secolare, cullata dalle onde del Tirreno e dalle promesse disattese della politica.
Bella come sempre, inaccessibile come sempre, privata come sempre.
Un paradiso per pochi mascherato da patrimonio di tutti.
I palermitani torneranno a lamentarsi del traffico per raggiungere la spiaggia, dei prezzi esorbitanti, della mancanza di spazi liberi.
Ma quando qualcuno proporrà di cambiare davvero le cose, quando busserà alla porta del potere per chiedere conto di 115 anni di monopolio, allora riscopriranno l’amore per la tradizione, il rispetto per la storia, la diffidenza verso i populisti.
Perché questo è il nostro destino di siciliani: essere eterni Tantalo del cambiamento.
Desiderarlo quando non arriva, temerlo quando si avvicina, rimpiangerlo quando è passato.
“Il sonno, caro Chevalley, il sonno è ciò che i Siciliani vogliono, ed essi odieranno sempre chi li vorrà svegliare.”
Aveva ragione il Principe di Salina.
Mondello dorme ancora.
E noi, gattopardi in costume da bagno, continuiamo a sognare il mare mentre ci accontentiamo della battigia.
Stefano Giordano








































