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Mer, 12 Nov 2025
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IVA e prestazioni di servizio: la Cassazione riscrive il momento impositivo

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Sappiamo bene quanto sia complicata la normativa fiscale, tanto complicata che dopo un periodo lunghissimo (cinquant’anni), è stato ritenuto indispensabile provvedere a riformarla.

Ecco, quindi, la legge (“delega”) n. 111 del 9 agosto 2023, alla quale hanno fatto seguito numerosi decreti legislativi attuativi, ai quali, entro la fine di quest’anno, se ne dovranno aggiungere altri, compresi numerosi Testi Unici per mettere insieme e razionalizzare l’enorme quantità della produzione fiscale degli ultimi cinquant’anni.

Eppure, mentre si lavora alla semplificazione, la giurisprudenza rimette in gioco alcuni principi che, fino a poco tempo fa, sembravano assolutamente scontati. Mette in discussione proprio quei pochissimi concetti sui quali dubbi non ce ne erano, e tra questi i principi sanciti dall’articolo 6 del Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 26 ottobre 1972. O perlomeno così sembrava.

È accaduto, infatti, che la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 10693/2025, pubblicata in data 23 aprile 2025, riferendosi alle prestazioni di servizio ed agli obblighi relativi in materia di IVA, forse temendo che l’attuale normativa non sia perfettamente allineata con quella comunitaria, ha quasi azzerato il “vecchissimo” concetto di “momento impositivo” (o meglio, di “momento di effettuazione dell’operazione”) sul quale, ormai da più di cinquantatré anni (da quando è entrata in vigore l’IVA), sembrava non ci fosse proprio nulla da dire o da interpretare.

Era un concetto semplicissimo, confermato pure dai documenti di prassi dell’Agenzia delle Entrate e dal Ministero delle Finanze: per le cessioni di beni immobili il momento impositivo coincide con la stipula dell’atto, per le cessioni di beni mobili con la consegna o spedizione, per le prestazioni di servizio con il momento del pagamento del corrispettivo. Se si verificava prima il pagamento o si emetteva comunque fattura, il momento impositivo si anticipava a tali ultimi eventi.

In base a questa interpretazione (assolutamente legittima), e sempre esclusivamente per le prestazioni di servizi, “niente soldi niente fattura”.

Ma, come già detto, la Corte di Cassazione, con la sentenza prima citata ed altre precedenti, seguendo pedissequamente la terminologia della Direttiva UE 112 del 2006, ha dato un significato sostanziale alla locuzione “fatto generatore dell’imposta”, ritenendo che tale espressione, prevista appunto dalla normativa UE, non corrisponda al “nostro” momento impositivo (ex art. 6 DPR 633/72), ma si realizzi nel momento in cui la prestazione viene materialmente eseguita.

Ecco quindi i dubbi dei contribuenti e di tutti gli addetti ai lavori.

Secondo la Cassazione, infatti, se il servizio viene reso, anche se non è stato pagato il corrispettivo, la fattura deve essere emessa.

Il “vecchio concetto di momento impositivo”, volendo seguire la cennata interpretazione giurisprudenziale, segnerebbe solo il momento della “esigibilità”, ossia il momento in cui l’Amministrazione finanziaria può pretendere il versamento dell’imposta.

Uno vero stravolgimento di una disposizione che, finora, sembrava abbastanza chiara.

Non si dimentichi, peraltro, che, se da un lato il “fatto generatore dell’imposta” (prima avremmo detto “momento impositivo”) fa scattare obblighi fiscali (fatturazione, registrazione, ecc.) per il prestatore del servizio, per il committente, una volta pagato il corrispettivo, fa scattare la “esigibilità” (sempre prevista dall’articolo 6) alla quale si collega, a norma dell’articolo 19 del più volte citato D.P.R. 633/72, il diritto alla detrazione, un concetto forse più complicato di quelli precedentemente cennati.

Speriamo che al più presto, magari con uno dei prossimi decreti legislativi previsti dalla legge delega sulla riforma tributaria, i dubbi vengano (“realmente”) chiariti.

Salvatore Forastieri

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