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Ven, 07 Nov 2025
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Palermo, quando la parola “mafia” diventa un comodo alibi

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A Palermo si è consumata l’ennesima tragedia. Un giovane ucciso per aver tentato di sedare una rissa. Una vita spezzata, famiglie distrutte, una comunità sotto shock. E puntuale, come un copione già scritto, arriva il coro: “È mafia”. I professionisti dell’antimafia di stile – chiamiamola così – si affrettano a snocciolare sentenze, a invocare la legalità, a vedere Cosa Nostra dietro ogni angolo buio. Ma siamo sicuri che sia davvero questo il problema?

La tentazione del depistaggio intellettuale

Permettetemi di dirlo con la franchezza che la gravità del momento richiede: l’ipotesi mafiosa, quando non è avvalorata da fonti investigative serie, rischia di essere un depistaggio. Volontario o colposo, poco importa. Il risultato è lo stesso: distogliere l’attenzione dal vero problema.

Perché qui non stiamo parlando di “lupara bianca” o di strategia stragista. Stiamo parlando di un vuoto territoriale in cui menti irresponsabili – probabilmente poco inclini al ragionamento e alla serenità – mettono in atto comportamenti violenti che, grazie a Dio, nella maggior parte dei casi vengono poi puniti. Le telecamere esistono, i sistemi informatici funzionano, i colpevoli vengono assicurati alla giustizia.

Ma questo non basta a placare chi ha fatto della lettura mafioologica una professione. Come scriveva Leonardo Sciascia in A ciascuno il suo, “la verità è sempre rivoluzionaria”, ma talvolta è più comodo nascondersi dietro la retorica che guardare in faccia la realtà.

Il vuoto che lo Stato ha lasciato

La verità scomoda è che questi episodi derivano da una mancanza di presidio, di controllo territoriale da parte delle forze dell’ordine. E attenzione: non per colpa loro. Parliamo di carenza di personale, di risorse insufficienti, di un’organizzazione che non riesce più a garantire quella presenza capillare che farebbe sentire più sicuri i cittadini per bene.

Per questo è necessario – e qui mi si permetta di essere diretto – l’intervento dell’esercito. Non come militarizzazione del territorio, ma come risposta concreta a un’emergenza concreta. Per chi vive onestamente, la presenza dello Stato non è mai opprimente: è rassicurante.

L’antimafia come distrazione di massa

Dedicare la maggior parte delle energie alla mafia – che oggi, probabilmente, non è militarmente presente sul territorio siciliano come un tempo – ha fatto perdere di vista qualcosa di fondamentale: i diritti dei cittadini. Il diritto alla sicurezza è garantito dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, dai vari trattati internazionali. Non è un optional. Non è qualcosa di cui parlare solo quando serve riempire un comizio.

Come ammoniva Pasolini nei suoi Scritti corsari, esiste una retorica del potere che “distrae” dalle questioni reali. E l’antimafia di maniera rischia di essere esattamente questo: una distrazione dal fatto che lo Stato non presidia più il territorio come dovrebbe.

Torniamo alla realtà

Questo non è il momento delle letture ideologiche. Non è il momento degli slogan. È il momento delle risposte concrete.

Un giovane è morto. Altri potrebbero morire. Non per una strategia criminale organizzata, ma per il vuoto che lasciamo prosperare. Per l’assenza di controllo. Per la mancanza di una presenza dello Stato che dica: “Qui ci siamo noi, e qui la violenza non passa”.

Smettiamola di cercare la mafia dove forse non c’è. Cominciamo invece a chiedere quello che dovrebbe esserci e non c’è: sicurezza, presenza, risposte. Prima che un altro ragazzo paghi con la vita il prezzo della nostra distrazione collettiva.

Perché, come ci ricorda Sciascia, “il sonno della ragione genera mostri”. E in questo caso, il mostro è l’indifferenza mascherata da retorica.

Avv. Stefano Giordano

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