Negli ultimi cinque anni Palermo è stata al centro di numerose indagini antimafia. Dalle maxi-operazioni con centinaia di arresti agli sviluppi processuali. Ecco le principali inchieste giudiziarie, il modus operandi dei clan, i mandamenti più attivi in città, gli esiti in aula e un grande “però”
Le procure e le forze dell’ordine di Palermo hanno coordinato vaste indagini sui racket estorsivi. Fra le più rilevanti va citata l’operazione “Grande Inverno”, messa a punto nel febbraio 2025, guidata dal Nucleo Investigativo Carabinieri su delega della DDA di Palermo, che ha portato all’esecuzione di 181 misure cautelari. L’azione ha colpito in particolare i mandamenti di Porta Nuova, Pagliarelli, Tommaso Natale–San Lorenzo e Bagheria, oltre a un filone a Santa Maria del Gesù con altri 20 arresti. Nell’ambito di questa inchiesta, i militari hanno ricostruito chat criptate fra boss e scoperto una ramificata rete di estorsioni, traffico di droga e scommesse clandestine. Un seguito di “Grande Inverno” si è concretizzato nel mese successivo con il sequestro preventivo di beni per oltre 1,3 milioni di euro riconducibili alla famiglia mafiosa di Porta Nuova, e l’arresto di tre persone che, nell’autunno 2023, avevano tentato di imporre un “pizzo” di 5.000 euro mensili, in alternativa una tantum di 15.000, a un imprenditore.
Altre operazioni significative degli ultimi 5 anni, includono l’inchiesta nota come “Fenice”. Nell’ottobre 2022, questa indagine dei Carabinieri aveva decapitato il clan di Misilmeri, il mandamento Misilmeri–Belmonte Mezzagno. Nel maggio 2025 i Carabinieri hanno dato esecuzione a una nuova ordinanza della DDA, arrestando altre quattro persone, due in carcere e due ai domiciliari, accusate di far parte della stessa famiglia mafiosa di Misilmeri. Gli inquirenti hanno ricostruito una serie di estorsioni ai danni di imprese locali e atti di violenza, minacce e aggressioni, contro un venditore ambulante, per imporgli concorrenza sleale.
La Polizia di Stato ha svolto parallelamente indagini su altri mandamenti. Ci riferiamo all’operazione di aprile 2025 denominata “Nuovo Corso” realizzata dalla Squadra Mobile e dal S.I.S.C.O., che ha portato all’arresto di 12 persone del mandamento della Noce. In quell’inchiesta, presentata anche come madre del successivo blitz “Intero mandamento”, sono emerse tensioni interne al clan ma anche estorsioni e traffico di droga. Già nel maggio 2022 l’operazione “Intero mandamento” aveva smantellato la famiglia di Noce/Cruillas, arrestando 9 indagati per mafia ed estorsione. Inoltre, sempre negli ultimi cinque anni, vanno citate alcune indagini locali come “Persefone”, del settembre 2021, che portò all’arresto di 8 affiliati al clan di Bagheria con accuse di traffico di stupefacenti, armi e estorsione, e “Luce”, del gennaio 2024, che colpì emissari mafiosi di Villabate.
Dinamiche criminali e modus operandi
Le estorsioni rimangono uno degli affari chiave di Cosa Nostra a Palermo, insieme al traffico di droga. Tuttavia il racket del pizzo negli ultimi anni è stato caratterizzato, come rileva la DIA, da modalità meno plateali e più “persuasive”. I clan tendono a imporre forniture di beni, servizi o manodopera a prezzi gonfiati anziché minacciare sempre con violenza esplicita. Spesso il meccanismo funziona tramite prestanome e telefonate di avvertimento. In diverse inchieste gli imprenditori vittime hanno descritto pressioni psicologiche continue, danneggiamenti a mezzi e cantieri, o addirittura ritrovamenti intimidatori, ad esempio teste di animali lasciate sul luogo, a causa del rifiuto di pagare.
I bersagli delle estorsioni sono stati in particolare il settore edilizio oltre a quelli commerciale e artigianale. Un caso emblematico, l’operazione “Vento”, ha visto un’intera impresa edile e i suoi operai opporsi al pizzo richiesto dal mandamento di Porta Nuova. Imprenditori e lavoratori si sono costituiti parte civile e permesso così ai giudici di condannare 24 imputati per associazione mafiosa, traffico di droga ed estorsione. Analogamente, numerosi commercianti di attività come bar, tabaccherie e ambulanti, hanno denunciato richieste estorsive. In un’inchiesta i vertici del mandamento della Noce controllavano anche gli affitti abusivi e minacciavano chi rompeva i patti, sino a imporre “ricatti” su vicende personali, quali liti e affittuari morosi. Le indagini testimoniano anche l’uso di armi da fuoco per convincere le vittime e l’uso di reti di conversazioni criptate per coordinare i capi in latitanza. Mafia e imprenditori si sono confrontati in un contesto di terrore latente con, da un lato, l’organizzazione mafiosa che sfrutta l’“offerta di soluzione” perfino convincendo piccoli operatori che è meglio pagare piuttosto che essere penalizzati, dall’altro alzano la guardia con la violenza quando trovano resistenze. In occasione di un vento pubblico avvenuto pochi giorni fa, il procuratore capo della Repubblica di Palermo Maurizio De Lucia ha affermato che la mafia ha modificato le sue modalità. La “richiesta di pizzo non è finita”, ha dichiarato ma non si manifesta più sempre con la sua storica violenza. Ora si parla piuttosto di “pestaggi sistemici”, violenze che passano sotto traccia per non essere immediatamente riconducibili a Cosa Nostra. Inoltre De Lucia ha denunciato come i mafiosi usino “chat e tecnologia, non più i pizzini per comunicare” e che “per la magistratura è necessario avere la possibilità di correre quanto i propri avversari”. Sempre De Lucia ha dichiarato che il pizzo non va visto “solo come crimine economico, ma come fenomeno sociale radicato: non basta la repressione, serve un cambiamento culturale diffuso”.
I problemi culturali che rasentano la complicità
Negli ultimi anni le indagini giudiziarie e i monitoraggi sul fenomeno mafioso hanno ribadito un quadro inquietante: molti palermitani si rivolgono ai boss per ottenere “favori” che lo Stato non garantisce, fino a considerare il pizzo come un costo di gestione o protezione. Un’inchiesta del 2025 sulla cosca del mandamento Noce ha documentato che «erano tanti i cittadini che andavano a chiedere favori ai boss» – dai proprietari immobiliari che volevano liberarsi di inquilini morosi, alle coppie in lite, sino a chi cercava un’assistenza nell’aprire una pizzeria. In alcuni casi imprenditori dichiaravano candidamente: “Siete le uniche persone che riescono a risolvere tutti i problemi”. Il GIP che ha firmato l’ordinanza ha commentato duramente che, in una società frammentata e senza punti di riferimento statali credibili, si affida “il compito (…) di risolvere velocemente e senza attivare procedure legali(…) le più svariate problematiche”, provocando una “prostrazione della dignità e abdicazione (…) ai propri diritti” – fotografia di un preoccupante degrado sociale. Anche i media locali riportano come “fanno la fila per chiedere favori ai mafiosi, nella totale assenza di punti di riferimento dello Stato. Sono loro la vera linfa della mafia di oggi”, alimentando così un consenso concreto.
I tribunali e le inchieste confermano questo fenomeno. In una recente intervista la procuratrice generale presso la Corte d’Appello di Palermo Lia Sava ha messo in luce due elementi chiave. Il primo è quello del “consenso” mafioso. Alcune imprese o soggetti sociali “corrono a fare accordi con i boss”, in assenza di alternative istituzionali, e “i clan occupano spazi che lo Stato non riempie”. Inoltre segnala il nesso tra vuoto sociale, povertà, degrado e capacità della mafia di porsi come attore “offrente” di protezione, relazioni, economie informali. “La giustizia deve parlare ai poveri, ai diseredati di questa città” ha dichiarato Sava e aggiunge che “se lo Stato non dà risposte, alcune fasce sociali potrebbero rivolgersi ai boss”. Il tema del consenso mafioso è all’attenzione delle autorità giudiziarie. Lia Sava ha anche osservato che “c’è una grande ‘voglia di mafia’ in alcune fette della società, perché la povertà… porta i soggetti più fragili a essere tentati dall’offerta deviante del crimine organizzato. Questa situazione genera… un ‘welfare mafioso’ che inevitabilmente incrementa consenso”. Maurizio De Lucia sottolinea l’abitudine a “ragionare con la mafia” come tratto di molte aree, auspicando invece “sviluppo economico e culturale” per superare paura, connivenza e convivenza. Anche fonti investigative ufficiali danno l’allarme: una relazione parlamentare del 2024 rileva che il racket si è trasformato nel “pagamento generalizzato di piccole somme” che garantisce, con minori incassi, una “acquiescenza quasi spontanea da parte degli estorti“. In pratica, molti imprenditori smettono di denunciare e cercano i clan di propria iniziativa, contribuendo così al modello mafioso del “pagare meno ma pagare tutti”.
I mandamenti mafiosi più attivi
Secondo l’ultimo report della DIA, a Palermo oggi convivono e cooperano diversi mandamenti storici. I più attivi sono quelli di Porta Nuova (centro storico) sede di vecchi e nuovi boss, come la famiglia Mulè, punto di riferimento per i racket in tutta la città, Pagliarelli–Pallavicino (zona ovest) che emerge come base di latitanti e nuovi affiliati, responsabili di operazioni criminali nel quartiere e lungo la Palermo–Mazara del Vallo, Tommaso Natale–San Lorenzo (zona nord-ovest) teatro di estorsioni ai danni di piccole e grandi imprese del territorio, Resuttana–Partanna Mondello, con sfere d’influenza su Fiera del Mediterraneo e dintorni, Noce–Cruillas (nord) con strutture attive in Croce Verde–San Filippo Neri e Capaci–Isola delle Femmine, oggetto delle operazioni “Intero Mandamento” e “Nuovo Corso”e Brancaccio (sud-est) punto nevralgico nel rione Bonagia–Acquasanta, ha impegnato DDA e investigatori con indagini antiche come “Stirpe 2” nel 2023) e fronteggiamenti di nuovi boss (come Gaetano Grado, attivo in quest’area). Questi mandamenti gestiscono in parallelo il traffico di droga, le estorsioni e il controllo del territorio. In provincia restano influenti, tra gli altri, il mandamento di Bagheria (famiglia di Aspra–Bagheria, nord-est) che, benché ufficialmente sulla costa, agisce come mandamento quasi metropolitano le cui famigliedi recente sono state colpite nelle operazioni “Grande Inverno” e “Persefone” e quello di Santa Maria del Gesù–Villagrazia al centro di operazioni tra 2023 e 2025, con latitanti e arresti eccellenti, 20 capi del clan arrestate nel blitz di “Grande Inverno. Altri contesti mafiosi attivi in città comprendono Belmonte Mezzagno–Misilmeri (collaborativo con la Noce) e zone urbane come Borgo Vecchio (Palazzo Adriano).
Risultanze processuali e collaborazioni
Dal fronte giudiziario emergono già decine di condanne in primo grado. Il maxi-processo legato all’operazione “Vento” ha chiuso con 24 condanne per associazione mafiosa, traffico di stupefacenti ed estorsione. Allo stesso modo, le inchieste del 2022 su mandamenti nord-occidentali, “Bivio” e “Stirpe” si sono concluse in rito abbreviato con pesanti pene per numerosi esponenti. L’operazione “Crystal Tower”, del luglio 2022, contro il clan di Torretta ha portato alla condanna di 13 indagati in rito abbreviato. Anche l’operazione “Villaggio di famiglia” del novembre 2023 contro il mandamento di Pagliarelli si è conclusa in primo grado con condanne per gli imputati.
I processi in corso includono invece le già citate operazioni “Intero Mandamento” e “Fenice” dove il dibattimento è ancora aperto, così come le inchieste “Stirpe 2” e “Metus” , anch’esse a giudizio. Più in generale, dopo anni di silenzio molti imprenditori e lavoratori si sono resi disponibili a testimoniare. Associazioni come Addiopizzo e Confcommercio Palermo si sono spesso costituite parte civile nei processi per sostenere le vittime del pizzo. Ad oggi non si segnalano grandi collaborazioni di mafiosi pentiti di primo piano sul territorio palermitano dopo il 2020, ma alcuni boss locali, per esempio Carmelo Giancarlo “u Malapaga” Seidita, capo del mandamento Noce, sono stati intercettati in informazioni di reato, raccontando, tramite colloqui rigidamente riservati, le dinamiche interne del clan.
Palermo resta un crocevia di affari mafiosi. Le relazioni della DIA confermano che estorsioni e traffico di droga rappresentano tuttora il cuore economico di Cosa Nostra palermitana. Grazie all’intensa attività investigativa degli ultimi anni, basata su intercettazioni, informatori e sequenze filmate, molte reti criminali sono state smantellate: i mandamenti operativi continuano a darsi da fare, ma ora sanno che ogni tentativo di ingrassare il “pizzo” è osservato dalle procure e sempre di più rischia il carcere. A meno che il cittadino decida di non denunciare in cambio di favori.
Roberto Greco







































