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Mer, 12 Nov 2025
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Salvatore Castelbuono, il vigile urbano ucciso dalla mafia

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Salvatore “Totò” Castelbuono nacque a Palermo il 26 marzo 1932 e crebbe a Bolognetta (PA), piccolo centro alle porte di Palermo. Dopo il servizio militare, tornò in paese dove sposò la coetanea Rosaria e ebbe quattro figli, Giuseppe, Carmela, Cesare, Antonio. Nel 1958 superò il concorso da vigile urbano e prestò servizio ininterrottamente al Comune di Bolognetta fino alla morte.

Dotato di grandi valori civili, Castelbuono era descritto come “uomo che credeva nella legalità e nel rispetto delle istituzioni e delle leggi”. In servizio indossava sempre la divisa e svolgeva “molteplici compiti” affidatigli dall’amministrazione locale. Secondo familiari e colleghi, era “sempre ligio al proprio dovere, obbediva ai superiori e alla sua coscienza con spirito di abnegazione, incurante di rischi e pericoli”. Questa sua integrità gli aveva meritato considerazione nell’ambiente, ma lo aveva anche reso un ostacolo per la mafia locale.

Collaborazione con le forze dell’ordine

Nel periodo in cui operò Castelbuono, il territorio di Bolognetta era influenzato dalla mafia corleonese. Proprio grazie alla sua conoscenza capillare del territorio e delle persone, il vigile urbano fornì alle forze dell’ordine informazioni preziose sui latitanti mafiosi operanti nella zona. In particolare collaborò attivamente con i carabinieri della stazione di Bolognetta e con il Reparto Operativo del Comando provinciale di Palermo nelle ricerche dei latitanti corleonesi. Le fonti raccolte lo descrivono come un collaboratore fidato che “contribuiva a raccogliere notizie importanti che gli organi inquirenti non avrebbero potuto acquisire senza il suo contributo”.

Negli ultimi mesi di vita Castelbuono era impegnato in prima persona nelle indagini sul boss latitante Leoluca Bagarella, capomafia corleonese attivo nella zona. Secondo il figlio Antonio, proprio la sua informazione agli investigator, accompagnando un’auto-civetta verso un presunto covo di Bagarella il 19 settembre 1978, incrinò i piani dei mafiosi. Dopo questo fatto cominciarono telefonate minatorie anonime, che pochi giorni dopo si trasformarono in un agguato mortale. La dedizione di Castelbuono alle indagini anti-mafia fu riconosciuta anche anni dopo con l’assegnazione della Medaglia d’Oro al Merito Civile alla memoria nel 2010.

La dinamica dell’omicidio

La mattina del 26 settembre 1978, verso le 9:00, Castelbuono stava andando in servizio a bordo della sua Opel Kadett, percorrendo la strada provinciale che collega Bolognetta a Villafrati in provincia di Palermo. Lungo la provinciale, a circa 15 km a nord di Palermo, una BMW blu prese a inseguire e speronare la sua auto. Secondo la ricostruzione de La Stampa dell’epoca, quattro uomini a bordo della BMW lo assalirono: uno scese dall’auto dopo l’urto, gli chiese il nome e poi esplose due fucilate a bruciapelo con un fucile a canne mozze, una lupara. Subito dopo gli spararono altri colpi, uccidendolo sul colpo: i sanitari giunti sul posto trovarono Castelbuono ancora in vita, ma morì poco dopo.

L’omicidio avvenne in pieno giorno e in un tratto isolato di campagna. Castelbuono indossava la divisa del Corpo e fu subito riconosciuto dai carabinieri di Bolognetta giunti sul luogo grazie all’allarme di alcuni muratori che stavano lavorando lungo la strada. L’agguato fu rapido. Dopo aver investito l’auto di Castelbuono con la BMW, i sicari gli chiesero il nome e gli spararono a distanza ravvicinata. I killer fuggirono subito dopo senza lasciare traccia.

Motivazioni dell’omicidio

Da subito l’ipotesi predominante fu che si trattasse di un delitto di mafia per vendetta. Castelbuono era infatti un “obiettore” ai piani mafiosi: come dice il figlio Antonio, il suo “modo leale di agire” e l’atteggiamento onesto “decretarono la sua condanna a morte”. Le indagini puntarono in particolare verso latitanti corleonesi con base in zona. La pista più accreditata fu proprio la vendetta dei mafiosi di Corleone perché “l’anno scorso il vigile era stato un testimone di rilievo nel processo al patriarca mafioso di Bolognetta, Giuseppe Pitarresi”, assolto in quel processo, mentre “alcuni latitanti corleonesi” presenti nel territorio volevano vendicarsi.

Pochi giorni dopo l’assassinio arrivò una telefonata anonima di rivendicazione. Al Reparto Operativo dei carabinieri di Palermo fu detto che era stata una vendetta dei Corleonesi, e che “la stessa banda che ha colpito il vigile” avrebbe potuto colpire anche gli uomini delle forze dell’ordine. Le autorità considerarono questa rivendicazione la prova che il movente era da ricondurre proprio ai boss latitanti. Parallelamente emersero altre ipotesi: alcuni investigatori sospettarono che Castelbuono potesse essere venuto a conoscenza di illeciti legati a speculazioni edilizie o abusi urbanistici in zona, e che mafiosi coinvolti in questi affari avessero deciso l’omicidio per proteggerli. Ogni ricostruzione concorda sul fatto che l’agente era un “nemico” della mafia, e che il suo omicidio era funzionale a colpire la lotta alla criminalità locale.

Indagini e processo

Fin dalle prime ore i carabinieri e la magistratura avviarono posti di blocco, interrogatori e rilievi sul luogo dell’agguato. Oltre ai familiari e ai colleghi, furono ascoltati muratori presenti in zona e altre persone legate a possibili piste criminali. La Stampa ipotizzò fin dall’inizio un movente mafioso, edile o di conoscenze pericolose, ma nel corso degli anni nessun colpevole è mai stato identificato con certezza. Il delitto è rimasto irrisolto quindi “per la sua morte non c’è stato nessun processo, nessuna condanna, nessuna verità e nessuna giustizia”, ricorda l’associazione. Il caso è archiviato come “delitto di mafia impunito”. Nessuno è mai stato formalmente arrestato, né tantomeno processato, per l’omicidio.

Anche dopo molti anni le autorità locali continuano a auspicare giustizia: durante la cerimonia del 2010 il vice presidente della Provincia di Palermo ribadì che “auspichiamo che sia fatta piena luce sull’omicidio e che mandanti ed esecutori del delitto vengano individuati e assicurati alla giustizia”. A oggi, tuttavia, non risultano novità operative sul fronte giudiziario. Gli unici “colpevoli” esplicitamente indicati restano i boss latitanti di Corleone menzionati nella telefonata di rivendicazione, ma la mancanza di prove ha reso impossibile qualsiasi accertamento penale.

Il ricordo di Salvatore Castelbuono oggi

Salvatore Castelbuono è ricordato come un “martire della legalità” nella provincia di Palermo. Negli anni decine di iniziative commemorative ne hanno onorato la memoria. Tra queste ricordiamo l’intitolazione di una strada a Palermo nel tratto da via Paolo Giocoso a via Santicelli; una lapide commemorativa sul luogo del delitto posta il 26 settembre 2010, in occasione del 32° anniversario dell’agguato, quando è stata scoperta una stele di marmo nella contrada Stallone lungo la SP 77 (Bolognetta-Villafrati), proprio nel punto in cui Castelbuono fu asssassinato. A queste si aggiungono le cerimonie annuali –perchè ogni anno il Comune di Villafrati, la Provincia di Palermo e altri enti locali organizzano eventi commemorativi sul luogo dell’agguato. Come annunciò l’allora presidente della Provincia Avanti, “Provincia e Comuni del comprensorio commemoreranno ogni anno il valoroso vigile Castelbuono con una cerimonia sul luogo del barbaro assassinio per tenere sempre vivo il suo ricordo”. In queste cerimonie vengono letti messaggi delle istituzioni, interventi di familiari e la posa di corone d’alloro. Castelnuovo fu insignito inoltre di onorificenze e medaglie. La prima il 15 ottobre 2010, quando il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano gli conferì la Medaglia d’Oro al Merito Civile alla memoria. La motivazione ufficiale sottolineò le “elevate qualità morali” di Castelbuono e il “coraggio eroico” con cui collaborava alla cattura di esponenti di spicco della mafia, fino a perdere la vita in un vile. Oltre alla lapide del 2010, sono state inaugurate targhe commemorative in sede di giunta e aule civiche, e si discute periodicamente l’erezione di un monumento antimafia nel luogo dell’assassinio. Il figlio Antonio e le autorità locali richiamano spesso la figura di Castelbuono come modello di onestà, perché «ha rappresentato un ostacolo da abbattere» per la mafia.

Le istituzioni sottolineano la sua eredità simbolica: la «freschezza dell’anima» e l’“amore per la legalità” di Castelbuono sono richiamati come esempio per le giovani generazioni. Il suo sacrificio “rappresenta un punto di riferimento e un modello di legalità per tutti”. Anche a distanza di decenni, il suo nome non è stato dimenticato: le commemorazioni pubbliche e le dediche riconfermano l’impegno civile a ricordarlo e a tenere alta l’attenzione sul fenomeno mafioso.

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