spot_img
Ven, 07 Nov 2025
spot_img
spot_img
spot_img

Del silenzio dovuto: riflessioni sulla caduta di un paladino

Reading Time: 4 minutes

La costituzione di Antonello Montante presso il carcere di Bollate segna la conclusione di una parabola che ha attraversato decenni della storia siciliana contemporanea. L’ex presidente di Confindustria Sicilia, un tempo celebrato come baluardo dell’antimafia imprenditoriale, dovrà ora scontare una pena non inferiore a quattro anni e cinque mesi per corruzione e dossieraggio, crimini che hanno rivelato la natura profondamente ambigua del suo operato.

L’applauso dei vinti

Assistiamo oggi a un fenomeno che dovrebbe destare più inquietudine che soddisfazione: l’esultanza diffusa per l’inizio di una sofferenza carceraria. Commentatori, giornalisti e osservatori sembrano trovare in questa carcerazione una rivalsa tardiva, un epilogo che appaga il bisogno di giustizia differita. Eppure, questo clamore rivela più sulla nostra collettiva ipocrisia che sulla vera natura della giustizia.

Durante gli anni del suo apogeo, quando Montante si pavoneggiava tra i palazzi di giustizia e le manifestazioni per la legalità, rappresentando quello che oggi possiamo definire senza esitazione il degrado più assoluto della lotta alla criminalità organizzata, dove erano le voci critiche? Dove si trovavano coloro che oggi celebrano la sua caduta? La risposta è scomoda quanto evidente: molti di loro sedevano accanto a lui nelle conferenze, lo applaudivano nei convegni, ne frequentavano gli ambienti.

Il peso delle complicità silenziose

Il sistema di potere creato da Montante non avrebbe potuto sussistere senza una rete estesa di complicità e connivenze. La sua capacità di condizionare la vita politica siciliana attraverso dossieraggi e corruzioni testimonia non solo la sua abilità manipolatoria, ma anche la fragilità di un tessuto istituzionale che ha permesso tale deriva.

Non si può ignorare che questo personaggio aveva accesso privilegiato ai vertici delle forze dell’ordine, frequentava le procure di mezza Italia, coltivava rapporti con politici di ogni schieramento. Troppi hanno taciuto quando avrebbero dovuto parlare, troppi hanno preferito l’opportunismo al coraggio della denuncia. E oggi, paradossalmente, molti di coloro che hanno costruito carriere e consensi sui “festival della legalità” continuano imperterriti nelle loro attività, senza alcun segno di vergogna per le frequentazioni passate.

L’oltraggio del tardivo coraggio

Come osservava acutamente Alessandro Manzoni ne “Il Cinque Maggio”, esiste una forma particolare di viltà nell’accanirsi contro chi è ormai caduto: “L’onta di che si macchia, / Lo specchio di chi l’adora”. È precisamente questo il sentimento che dovrebbe ispirarci oggi di fronte al coro di commenti che accompagnano l’ingresso di Montante in carcere.

Quella che Manzoni definirebbe un “codardo oltraggio” si manifesta nell’irridente soddisfazione di chi, dopo anni di silenzio complice o interessato, trova finalmente il coraggio di alzare la voce quando il potere dell’accusato si è dissolto. È l’atteggiamento di chi “viene dopo la battaglia” per colpire i feriti, una forma di viltà morale che non rende giustizia né alla verità né alla dignità delle istituzioni.

Il momento del silenzio

Esistono momenti nella vita civile in cui il silenzio diventa più eloquente della parola, più dignitoso del commento, più giusto del giudizio sommario. Questo è uno di quei momenti. Non si tratta di pietà mal riposta o di indulgenza verso i crimini commessi – la giustizia ha fatto il suo corso e continuerà a farlo. Si tratta piuttosto del riconoscimento di un principio fondamentale della civiltà giuridica: il rispetto dovuto a ogni essere umano che sconta la propria pena.

Nel maggio 2018, al momento dell’arresto, Montante tentò di distruggere oltre venti pen drive e decine di documenti, gesto che testimonia la consapevolezza della propria colpevolezza. La giustizia ha accertato le sue responsabilità, la condanna è stata pronunciata, la pena deve essere scontata. Tutto il resto – il sarcasmo, l’ironia, la soddisfazione malcelata – appartiene a quella categoria di comportamenti che Primo Levi avrebbe definito “zona grigia”, dove si confondono vittime e carnefici, giusti e opportunisti.

La lezione ignorata

La vera tragedia della vicenda Montante non risiede tanto nella sua caduta personale, quanto nell’incapacità collettiva di trarre da essa gli insegnamenti necessari. Il sistema che lo ha generato e sostenuto non è scomparso con la sua carcerazione; i meccanismi che hanno permesso la sua ascesa continuano a operare in forme diverse ma sostanzialmente invariate.

Come ammoniva Tomasi di Lampedusa ne “Il Gattopardo”: “Bisogna che tutto cambi perché nulla cambi”. E infatti, mentre Montante varca le soglie del carcere, il teatrino della legalità di facciata prosegue imperterrito, con nuovi protagonisti che recitano gli stessi copioni, davanti a platee che continuano ad applaudire le stesse rappresentazioni.

L’eredità del rispetto

La misura della civiltà di una società non si valuta dal clamore con cui celebra la caduta dei potenti, ma dal rispetto che mantiene verso chi, anche dopo aver sbagliato, affronta le conseguenze delle proprie azioni. Antonello Montante è oggi un detenuto come tanti altri, e come tale merita quello che ogni detenuto merita: il rispetto della sua dignità umana e il silenzio di chi, per troppo tempo, ha preferito tacere quando parlare era necessario.

Ogni attacco rivolto oggi contro di lui suona come un atto di viltà postuma, il tentativo di riscrivere una storia della quale troppi sono stati complici silenziosi. Il tempo delle parole era ieri; oggi è il tempo del silenzio, del raccoglimento, della riflessione su quanto abbiamo permesso che accadesse sotto i nostri occhi distratti o interessatamente ciechi.

Come scriveva Eugenio Montale: “Non chiederci la parola che squadri da ogni lato / l’animo nostro informe”. Forse, davanti al carcere di Bollate, la parola più appropriata è proprio quella che non viene pronunciata, il giudizio che non viene espresso, il silenzio che sa di umana pietà e di tardivo, ma necessario, pudore.

Avv. Stefano Giordano

© 2025 l'atroparlante.it. Riproduzione riservata

Ultimi Articoli