Nel silenzio dignitoso di chi ha saputo trasformare il dolore in impegno civile, la famiglia Borsellino si trova oggi a dover sopportare un nuovo, inaccettabile affronto. Non dalle bombe della mafia, questa volta, ma dalle parole di chi avrebbe dovuto essere custode della memoria e della giustizia. Un dolore che stringe il cuore quando pensiamo a Manfredi, Lucia e Fiammetta, figli di quel Paolo che ha dato la vita per lo Stato. Un pensiero commosso va alla memoria di Agnese Piraino Leto, moglie e madre esemplare, vilipesa con aggettivi irripetibili proprio da chi sedeva accanto a suo marito nei palazzi di giustizia.
Le intercettazioni trasmesse ieri sera da Massimo Giletti nella trasmissione “Lo Stato delle Cose” hanno squarciato un velo su conversazioni che feriscono non solo per il loro contenuto, ma per ciò che rivelano sulla natura umana di alcuni protagonisti delle vicende giudiziarie italiane.
L’ex magistrato direbbe infatti che i figli di Borsellino, a cominciare da Lucia e Manfredi, sarebbero “senza neuroni”, che l’avvocato Fabio Trizzino, marito di Lucia e difensore della famiglia, sarebbe “una m…”.
E ancora, parlando di Agnese Borsellino, Natoli, discutendo con la propria moglie, avrebbe detto: “Era la moglie dell’eroe (Borsellino, ndr), il quale mentre era in vita la sbeffeggiava con i colleghi”, usando successivamente il termine “deficiente” per qualificarla.
Manfredi Borsellino, con la compostezza che solo chi ha ereditato la grandezza morale del padre può mostrare, ha reagito con parole misurate ma cariche di dolore: “Proviamo vergogna e imbarazzo per persone che stentiamo, fatichiamo a considerare colleghi di nostro padre. I nostri grandissimi genitori ci avevano preparato anche a questo fuoco amico, ma le offese assolutamente gratuite rivolte a nostra madre ci lasciano davvero senza parole.”
Come scriveva Leonardo Sciascia, “la verità ha una forza che non si può contenere quando finalmente trova il modo di manifestarsi”. E questa verità, oggi, si manifesta in tutta la sua brutalità morale.
L’orchestrazione di una verità addomesticata
Ma al di là dell’umana indignazione per questi insulti gratuiti, emerge dalle intercettazioni un quadro ancora più inquietante: quello di una verità negoziata, di domande concordate, di risposte preparate a tavolino.
“Ti farò questa domanda lì: ‘Lei sa che rapporti c’erano tra Lima (Felice Lima, ndr) e Borsellino?’ E tu tira fuori questa storia, perché ti farò questa domanda”. Così Roberto Scarpinato, senatore del Movimento 5 Stelle e membro della Commissione Antimafia, parlava con Gioacchino Natoli il 28 ottobre 2023, in vista della sua audizione davanti alla stessa Commissione.
Non si tratta di un semplice scambio di vedute tra ex colleghi. Natoli pronuncia la celebre frase già anticipata dalla Verità: “Tu mi devi alzare la palla…”. Scarpinato: “Certo: quali erano i suoi rapporti con Borsellino? E tu mi dici…”. È la costruzione di una rappresentazione teatrale dove la ricerca della verità diventa pantomima, dove l’istituzione preposta a fare luce sui misteri d’Italia si trasforma in palcoscenico per recite concordate.
Ancora più grave appare l’intento dichiarato da Scarpinato: “Di seppellire la Colosimo (Chiara, presidente della commissione, ndr) sotto una montagna di documenti”. Un’affermazione che rivela non solo il conflitto istituzionale interno alla Commissione, ma anche un uso strumentale del ruolo che dovrebbe essere super partes.
Il tradimento della ricerca della verità
“Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario” diceva Primo Levi. E mai come in questa vicenda il dovere della conoscenza si scontra con l’incomprensibile abiezione morale di chi dovrebbe essere custode della verità.
Il punto centrale va oltre gli insulti personali. Tocca il cuore stesso di ciò per cui Paolo Borsellino è morto: la ricerca della verità. Una verità che i greci chiamavano ἀλήθεια (aletheia), letteralmente “lo stato del non essere nascosto; lo stato dell’essere evidente”.
È proprio questa aletheia, questo disvelamento, che la famiglia Borsellino cerca da 33 anni. E invece si trova di fronte a una verità costruita, negoziata, dove “Natoli avrebbe cercato una ‘sponda’ in altri parlamentari (del Pd): Andrea Orlando, Walter Verini, Giuseppe Provenzano. Domande pilotate e risposte concordate.”
L’inchiesta “mafia e appalti” rimane uno dei nodi cruciali per comprendere le ragioni della strage di via D’Amelio. Proprio su questo dossier si concentrano gli accordi tra Scarpinato e Natoli, proprio su questa materia delicatissima si costruisce la recita concordata.
La questione istituzionale: quando il controllore diventa complice
Hannah Arendt ci ha insegnato che “le menzogne sono sempre state considerate strumenti necessari e legittimi non solo del mestiere del politico o del demagogo, ma anche di quello dello statista”. Ma quando la menzogna entra nelle aule di giustizia e nelle commissioni parlamentari, allora siamo di fronte non a politica ma a tradimento.
La gravità istituzionale di quanto emerso non può essere sottovalutata. Un giudice dovrebbe sempre comportarsi da giudice. Ma nel caso di Roberto Scarpinato, ex magistrato del pool antimafia di Palermo e oggi senatore del Movimento 5 Stelle, emergono intercettazioni che gettano un’ombra pesante sul suo ruolo di componente della Commissione parlamentare Antimafia.
Come può un membro della Commissione concordare preventivamente domande e risposte con un soggetto da audire? Come può parlare di “seppellire” la presidente della Commissione sotto montagne di documenti?
E soprattutto, come può negare l’evidenza quando, intervistato da Giletti, il 21 ottobre scorso, Scarpinato aveva precisato: “Io e Natoli non ci siamo mai messi d’accordo. Gli ho parlato prima che iniziassero le audizioni alla Commissione antimafia.”
L’ex procuratore generale di Palermo, l’ex presidente della Corte d’Appello di Palermo — ruoli che dovrebbero incarnare l’essenza stessa dello Stato di diritto — si ritrovano in conversazioni che sembrano più consone a una strategia difensiva che non alla ricerca disinteressata della verità.
Il dovere della verità
“L’uomo in rivolta è l’uomo che dice no. Ma se rifiuta, non rinuncia tuttavia: è anche un uomo che dice di sì, fin dal suo primo muoversi” scriveva Albert Camus.
E oggi diciamo no all’oblio, no alle menzogne concordate, no agli insulti postumi. Ma diciamo sì alla verità, sì alla giustizia, sì alla memoria.
Ieri sera, con la trasmissione di Giletti, è stato dato un contributo importante alla ricerca della verità. Non la verità costruita a tavolino, ma quella vera, quella che emerge dalle registrazioni, dalle intercettazioni, dai documenti.
La famiglia Borsellino merita di più. Merita istituzioni che cerchino la verità senza compromessi, senza accordi preventivi, senza insulti postumi. Merita che la memoria di Paolo e di Agnese sia onorata non con le parole di circostanza, ma con l’impegno concreto a svelare finalmente cosa accadde davvero in via D’Amelio quel maledetto 19 luglio 1992.
Avv. Stefano Giordano








































