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Mer, 12 Nov 2025
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Sicilia, serve un cambio di rotta per non bruciare il futuro (VIDEO)

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La Sicilia è arrivata a un bivio. Trasformare la gestione dei rifiuti in una leva di sviluppo sostenibile, o continuare a inseguire emergenze e commissariamenti. È il messaggio emerso con chiarezza dall’ottava edizione dell’EcoForum regionale di Legambiente, svoltasi a Palermo, che ha riunito amministratori, tecnici e rappresentanti delle imprese per discutere di filiere industriali dell’economia circolare e del destino dei progetti finanziati con il PNRR.

La Regione, infatti, è tra le più beneficiate dai fondi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza che stanzia oltre 250 milioni di euro destinati a impianti pubblici di biodigestione anaerobica, centri comunali di raccolta, infrastrutture per la frazione organica e progetti di riciclo delle frazioni secche, carta, cartone e tessili. Ma la messa a terra dei cantieri procede a rilento, frenata da ostacoli burocratici e scelte politiche contraddittorie.

Nel 2024, infatti, la raccolta differenziata ha segnato il passo. Pur registrando un incremento negli ultimi cinque anni, dal 21% del 2017 al 55,2% nel 2023, l’ultimo anno ha visto un incremento quasi nullo, pari a circa +0,5%. Per Legambiente, si tratta del “frutto avvelenato di una sciagurata campagna di propaganda” incentrata esclusivamente su inceneritori e discariche, che ha rallentato un percorso virtuoso costruito in anni di collaborazione tra amministrazioni e cittadini.

L’EcoForum ha rilanciato anche la campagna “Sicilia Munnizza Free”, iniziativa simbolo dell’associazione, che da otto anni propone ai territori un modello culturale prima ancora che tecnico. «È un obiettivo ambizioso – spiega Castronovo – ma negli anni abbiamo visto crescere una coscienza collettiva: oggi più di due milioni e mezzo di cittadini vivono in comuni che superano il 65% di raccolta differenziata. È un patrimonio culturale che non va disperso».

Sul fronte delle soluzioni industriali, Luigi Lazzaro, responsabile Innovazione Industriale di Legambiente, ha evidenziato il ruolo strategico degli impianti di biodigestione e compostaggio. «Sviluppare impianti di gestione anaerobica integrati con il compostaggio aerobico significa produrre biogas e biometano, riducendo il consumo di combustibili fossili, e ottenere compost di qualità per restituire sostanza organica ai terreni. È la chiave per un’economia davvero circolare e autosufficiente».

Ma l’assenza di una pianificazione impiantistica coerente con i principi europei rischia di vanificare tutto. A denunciarlo è anche la Corte dei Conti, che nel suo report sulla gestione del ciclo dei rifiuti in Sicilia segnala come non siano stati adottati provvedimenti per la progettazione di impianti “diversi dai termovalorizzatori”.

A prendere posizione anche Paolo Amenta, presidente di ANCI Sicilia, che ha ricordato i progressi compiuti dai comuni dal 2017 ad oggi: «Se escludiamo Catania e Palermo, non abbiamo nulla da invidiare alle altre regioni. Il problema ora è valorizzare i materiali differenziati, creare impianti di prossimità e smettere di puntare sull’ampliamento delle discariche». Ma eliminare Catania e Palermo significa togliere quasi il 50% del coinferimento complessivo dell’isola.

La transizione ecologica non si fa con gli slogan, ma con infrastrutture, regole certe e visione strategica.
La Sicilia, pur essendo tra le regioni più in ritardo sulla gestione del ciclo dei rifiuti, dispone oggi di risorse e strumenti per colmare il divario. Ma il tempo stringe: «Il rischio è che con l’attuale piano dei rifiuti e la scelta degli inceneritori si finisca per bruciare non solo i rifiuti, ma anche il futuro dell’economia circolare in Sicilia. E sprecarlo sarebbe imperdonabile» conclude il presidente Castronovo.

Samuele Arnone

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